IL SAPORE DELLE COSE SEMPLICI

Viveva, in una lussuosa villa nei pressi di Belmonte Mezzagno, un ricco commerciante in pelli di nome Vadim. Questi aveva un figlio giovane, il quale, viziato e abituato agli agi che gli concedeva la ricchezza, finì per divenire pigro e inappetente. Tutto ciò che possedeva, per lui, non aveva più valore alcuno; rifiutava anche i cibi più prelibati:

- Questo caviale non serve! Queste ostriche non sono per niente buone! Queste ciliegie son marce!.

Finì che in breve tempo s’ammalò. Lo visitarono i migliori medici che, preoccupati, cercavano la causa di quella misteriosa malattia, ma... niente! In giro, tutti seppero dell’accaduto. 

Si presentò alla casa del ricco benestante Agar, un vecchietto dal viso scarno e grinzoso, passeggiava, curvo sotto il peso dei suoi tant’anni, aspettando di essere ricevuto. A Vadim era stato descritto, da un suo amico, come persona saggia; lo aveva conosciuto, in uno dei suoi tanti viaggi d’affari, in un paesino dell’entroterra palermitano. 

-Entri!» disse Vadim, con gli occhi arrossati. 

-È lì, vede? Non assaggia più cibo da diversi giorni!

Il vecchietto si avvicinò al lettuccio e, dopo averlo osservato attentamente, disse al padre di non preoccuparsi tanto per la salute del figlio, perché lui lo avrebbe aiutato a guarire a condizione che, la cura, il ragazzo la facesse in campagna, nella sua cascina, lontano dai parenti. Vadim non poté far altro che acconsentire e gli affidò il ragazzo. 

L’indomani, di buonora, nel cortile della villa, il maggiordomo, con dei piccoli involti, scendeva gli ultimi gradini della scalinata; lo seguiva Vadim, che accompagnava in auto il figlio ammalato. Seduto sul sedile posteriore della lussuosa macchina, lo attendeva il vecchietto Agar, mentre, da dietro i vetri, la mamma salutava il ragazzo. 

Nella piccola fattoria era da poco spuntata l’alba; Agar e sua moglie Lora erano indaffarati a dar da mangiare alle oche. Un pigro sole, con i suoi tenui raggi, accarezzava l’erbetta cristallina. Giù, a valle, si scorgeva la nebbiolina della rugiada che si scioglieva lenta; mentre il gallo salutava il nuovo dì. Dalle imposte socchiuse il ragazzo osservava quel nuovo spiegarsi del giorno. 

- Andiamo!

Gridò Agar, scorgendolo dietro i vetri. 

-Dobbiamo arare la terra!- continuò. 

Ma il ragazzo… niente. Quel giorno lo trascorse solo, in casa, senza coccole e senza premure da parte di nessuno. 

L’indomani, e l’indomani ancora, si ripeté la stessa storia. 

Il giorno successivo, senza che nessuno gli avesse detto più niente, si alzò e andò anch’egli nei campi. Le grosse zolle della terra arata gli rendevano difficile il cammino. 

-Prendi quell’orzo!- Gridò Agar.

Il ragazzo lo prese, e volle sapere come seminare i chicchi lungo il solco che lasciava l’aratro. Il sole, quel giorno, batteva forte; il viso del ragazzo grondava di sudore, la sete e la stanchezza cominciarono a farsi sentire. 

-Ho fame!- si lamentò.

Agar, intento a tener l’aratro trainato da due grossi buoi, fece finta di non sentire.

Dopo un po’, il ragazzo gridò più forte:

-Ho fame!

-Non è ancora ora.- Rispose Agar, mentre il vomere scompariva fendendo la terra.

All’imbrunire, stanco e con una fame da lupo, il ragazzo, lungo la via del ritorno, cercava di intravedere la cascina in mezzo agli alberi. 

-Vedi quel fumo?- Disse Agar. -Esce dal comignolo e ci dice che nonna Lora sta preparando qualcosa di appetitoso. 

Appena arrivati, sul rustico tavolo apparecchiato stavano delle grosse ciambelle di pane da poco sfornato e un tegame in terracotta che fumava emanando odore di fagioli, cotenne e salsicciotti caserecci.

Il ragazzo fece per andare a sedersi, ma nonna Lora gli indicò la tinozza, pronta con l’acqua calda: avrebbe dovuto prima lavarsi.

“Mai!” Pensava il ragazzo; ma l’insistenza di nonna Lora non conosceva ragioni. In nessun momento aveva desiderato tanto di sedersi a tavola e mangiare; si lavò in un baleno e divorò tutto come solo un lupo sa fare. Inoltre volle sapere cosa e com’era stato cucinato quello che per Agar e Lora era semplice cibo quotidiano. 

I giorni passavano e il ragazzo divenne, in poco tempo, diverso, tanto che Agar pensò fosse arrivata l’ora di riconsegnarlo ai genitori.

Quel giorno arrivò all’improvviso e senza che il ragazzo se lo aspettasse. Il giovane salutò nonna Lora promettendole che sarebbe tornato spesso a trovarla.

Si avviò con Agar e, dopo aver percorso un po’ di strada, si girò a osservare ancora la cascina e il comignolo. Pensò agli odori e ai sapori di quelle cose semplici; poi guardò Agar, e, in quel volto increspato, vide emergere un sorriso ondulato.

Gli buttò le braccia al collo e abbassò lo sguardo, forse… chissà, per nascondere una piccola e capricciosa lacrima che scorreva giù lungo il suo giovane viso.

(rocco chinnici)

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